Come avvicinarsi allo Yoga

Accostarsi al mondo dello Yoga e alla filosofia orientale in genere richiede l’immergersi in un contesto che oggi è più che mai distante da noi, dalle nostre abitudini.
Addentrarsi in questo mondo per conoscerlo, il solo aiuto reale è l’esperienza, gli scritti, i testi hanno il loro limite, il limite della parola. Lo sapevano i saggi del passato che hanno superato questa difficoltà dando alle parole la semplice funzione di “appunti”, e tutti i grandi testi in Oriente hanno questa caratteristica.
I loro scritti erano semplici semi, “sūtra” (filo), che permettevano all’uomo di avere un’indicazione di rotta, un “filo” conduttore quindi, nel lungo cammino della vita.
Vita che era ricerca, aspirazione profonda verso “un qualcosa” che ancora oggi tormenta l’uomo e lo determina.

Solo che oggi non esiste più una cultura della ricerca come allora. Siamo bombardati dalle informazioni che ci allontanano più che avvicinarci a quella dimensione “intima” che è la nostra vera “patria”.

Oggi l’educazione produce nell’individuo conflitto tra ciò che egli è interiormente e ciò che gli viene “addobbato” sulla persona e lo qualifica agli occhi della società.
Il mistero della conoscenza non viene risolto dall’istruzione, né vi aspira, se non a livello individuale quando la vita si presenta in qualità di Maestra e di Educatrice.

Ci si può solo augurare un miracolo che ridia forma umana al mondo, che metta l’uomo di nuovo in contatto con quel filo esistenziale, capace di indicare la “meta” che può dare un senso al suo vivere.
Ma possiamo partire solo da noi stessi e il primo passo consiste nel vivere con attitudine e intenzioni diverse: i maestri parlano di “presenza attenta”. E’ su questa esperienza che viene svolto il lavoro su di sé, che ci permetterà di uscire dal sonno psicologico in cui siamo “caduti”e che ci ostiniamo a chiamare vita.

Diventa necessario accantonare quegli schemi mentali che ci contraddistinguono per aprirsi ad un’altra “dimensione”, che stranamente è più vicina e intima di quanto potremmo immaginare.
Solo così i “semi” della Tradizione potranno giungere a maturazione e rivelarsi al nostro cuore.

Non si tratta di acquisire nuove informazioni, magari più esotiche e lontane dalla nostra cultura, che però agirebbero lo stesso come un velo coprendo la nostra reale natura e ottundendo il nostro sentire, ma di svelare ciò che è già nascosto in noi. E questo è un concetto che la stessa parola “educazione” ha in sé: ex-ducere cioè portar fuori, esprimere quello che è dentro di noi in forma di seme. Ben diverso è ciò che avviene comunemente a scuola.
Impariamo dai discepoli dell’antichità che si avvicinavano ai Maestri, in India, con questa preghiera:

“Dal non essere guidami all’essere,
dalla tenebra guidami alla luce,
dalla morte guidami all’immortalità.
In verità chi conosce questo canto conquista il mondo”.

(Brhadaranyaka Up. III, 27)