Pranayama in "Yogasutra"

Nel Pranayama Patanjali vede un mezzo molto efficace per padroneggiare la mente e renderla adatta alla concentrazione, poiché possiede la proprietà di neutralizzare il pensiero e di dissolvere le impressioni subliminali ingombranti. La ritenzione dei soffi vitali, quindi, permette alla mente di non oscillare.

Il pranayama consiste nel dominio delle forze vitali del corpo, realizzabile dopo che sia stata assunta la giusta posizione. Solo allora sarà possibile controllare o anche interrompere il moto della respirazione. E' bene sottolineare che il prana non è il respiro, per quanto venga di solito tradotto con questa parola. Esso è il complesso dell’energia cosmica. E’ l’energia che risiede in ogni corpo e la sua manifestazione più evidente è il movimento del respiro. Questo movimento è dovuto al prana immesso col respiro ed è ciò che col pranayama si cerca di dominare. Il controllo del respiro è il mezzo più facile per governare il prana. Dall’integrità e dal funzionamento efficace dell’apparato respiratorio e dalla sua capacità di ossigenare e purificare il sangue dipende la salute del corpo fisico.

Prana cos'è?

Il termine Prāna derivato dalla radice pra+an che significa respirare, inalare, è molto difficile da spiegare, così come tutti i termini sanscrito della Tradizione orientale, che tradotti perdono la loro pregnanza. Ci apprestiamo così, umilmente, a darne un’interpretazione indicativa che stimoli alla ricerca personale, la sola che possa soddisfare la nostra comprensione.

Il Prāna sottende diversi significati. La traduzione in “soffio vitale”, “respiro cosmico”, “energia vitale”, vuole indicare questa immensità che rappresenta.

Da una parte è la somma di tutte le energie cosmiche, è l’energia universale che agendo su “ākāśa” crea tutte le forme presenti nella materia. Il termine occidentale corrispondente a Prāna potrebbe essere energia, anche se non è esaustivo, per quello che noi intendiamo come energia. In oriente invece, tutto è manifestazione del Prāna (anche il pensiero) ed esiste in tutte le forme, così negli esseri viventi che nel mondo inanimato, nel cibo, nell’acqua, nella luce del sole etc. E’ quindi energia fisica, mentale, intellettuale, sessuale, spirituale; la luce, il calore, il magnetismo, la gravità e l’elettricità sono forme di prāna. E’ il primo motore di tutte le attività, è l’energia che crea, protegge, distrugge. A certi livelli rappresenta il Purusha stesso, cioè l’Essere nella sua funzione di sostegno del divenire e della trasformazione universale.

Dall’altra parte è anche il termine per indicare il “soffio vitale” che pervade il corpo e lo anima e che dura finchè dura la vita e svanisce al suo svanire. Designa perciò l’energia sottile che circola nel corpo attraverso le nādi (canali del corpo sottile), sebbene si manifesti esteriormente anche a livello grossolano, ad esempio il prāna nell’uomo si manifesta nella funzione respiratoria, ma il prāna non è la respirazione. In tale contesto corrisponde cioè al flusso mentale-energetico che trova espressione nell’attività dei vari organi.

Ujjayi Pranayama

Ujjāyī Prānāyāma. Dal prefisso “ud” che significa “verso l'alto” o “espansione” e “jaya” che vuol dire “conquista”, è una tecnica apparentemente semplice, ma molto efficace.

Accorgimenti preliminari:

Tutte le fasi del prānāyāma incominciano con l'espirazione e terminano con una inspirazione normale.
Tutte le inspirazioni si compiono con un suono sibilante “ssss”, e tutte le espirazioni con un suono aspirato “hhhh”, per una parziale chiusura della glottide. Il respiro deve essere il più possibile lento, profondo, ma soprattutto regolare, cioè senza sbalzi, se no significa che non siamo pronti.
Si inspira ed espira sempre dal naso, all'inizio, soprattutto, non arrivare mai alla capacità totale dei polmoni, ma essere sempre graduali e pazienti.
Inoltre alle prime avvisaglie di affaticamento o disagio è opportuno smettere, questi accorgimenti sono da tenere in considerazione per tutti i tipi di prānāyāma.

Il pranayama e la sua pratica

Per praticare il Prānayama si deve scegliere un luogo tranquillo e pulito, privo di correnti d'aria, assumendo una posizione meditativa stabile come siddhasana o padmasana, con la colonna vertebrale, il collo e la testa ben allineati. Tale corretta postura deve essere mantenuta per tutta la durata dell'esercizio. L'atteggiamento mentale risulta molto importante: occorre una intensa concentrazione, evitando qualsiasi vagare della mente, per cui è preferibile praticarlo ad occhi chiusi, in modo da eliminare qualsiasi stimolo esterno e potersi concentrare su di sé.
Poiché il praticarlo impropriamente o eccessivamente potrebbe comportare il rischio di disturbi o danni a carico dell'apparato respiratorio e al sistema nervoso, è consigliabile praticare sotto la guida di un istruttore qualificato. Nel Prānayama distinguiamo tre fasi:
pūraka (inspirazione),
recaka (espirazione),
kumbhaka (ritenzione).
Sia il pūraka che il recaka (ossia l'inspirazione e l'espirazione) devono essere profondi e completi, compiuti con lentezza, senza sforzo e in maniera uniforme. Il kumbhaka è l'arresto temporaneo del movimento respiratorio e il mantenimento dell'apparato respiratorio in uno stato di immobilità e di quiete. Esso può essere di tre tipi:

  • antara-kumbhaka, ossia la sospensione del respiro dopo il pūraka;
  • bahya-kumbhaka, ossia la sospensione del respiro dopo il recaka;
  • kevala-kumbhaka, ossia quando la sospensione del respiro avviene in modo spontaneo dopo una lunga pratica di Prānayama.

I testi tradizionali assegnano tempi proporzionali a ciascuna delle fasi ovvero 1 tempo per pūraka, 4 tempi per kumbhaka e 2 tempi per recaka. (1-4-2).
È bene cominciare con l'allungamento dell'espirazione e gradualmente inserire un kumbhaka uguale alla espirazione (recaka). (1-2-2). Con la pratica costante e graduale si possono evitare disagi e realizzare un Prānayama equilibrato.
Le varianti più importanti di Prānayama sono: ujjayi (che dà la vittoria), anuloma-viloma o nādi-śodhana (purificazione dei canali), bhastrikā (mantice), bhrāmari (ape), mūrchā (deliquio), plāvini (galleggiante), śitali (rinfrescante), sitkāri (emissione del suono sit), sūrya-bhedana (perforazione del sole).

Respirazione e Pranayama

Nella pratica dello yoga il respiro riveste un’importanza fondamentale. E questo non solo per quanto riguarda l’aspetto fisiologico, è facile capire che il respiro è vita, un corpo che non respira è un corpo morto. L’ossigenazione delle cellule del nostro corpo è fondamentale per la loro stessa esistenza. Ma è altrettanto vero che il respiro è la chiave per accedere al dominio del movimento pensativo. E’ possibile constatare nella nostra esperienza come un pensiero-emozione che sia di ansia, paura ecc. possa modificare il ritmo del nostro respiro. Basta portare attenzione ai nostri momenti di turbamento e verificare come questi accelerano e modificano il ritmo del nostro respiro, per non parlare poi di altre ripercussioni a livello fisico quali: il battito del cuore più veloce, tremori, sudore, ecc.

Per lo yoga è importante il controllo del respiro (prānāyāma) perché conoscendo a fondo le dinamiche sottili di esso possiamo arrivare al controllo della mente. Ma occorre precisare che per lo yogi il respiro è il mezzo per accedere al prānā. Occorre distinguere tra il respiro e il prānā, poiché il prānā è più del respiro, è l’energia che determina la vitalità di tutte le cellule del nostro organismo, quindi abbraccia il funzionamento di tutto il corpo: dall’attività cellulare alla produzione del pensiero, ecc.

Prendendo consapevolezza del rapporto che c’è tra respiro e mente possiamo agire sul ritmo del respiro per modificare lo stato della mente.

“Quando il respiro è agitato la mente è instabile. Ma quando si acquieta anche la mente trova la sua pace naturale.” (Hatha Yoga Pradipika)

Come possiamo notare il prānāyāma è un processo delicato e complesso poiché non riguarda solo la respirazione fisiologica, non si tratta quindi di essere abili nell’assorbire più aria o ritenere a polmoni pieni o vuoti per un tempo lungo; esso ha a che fare con l’aspetto più sottile e profondo del nostro essere. Se osservassimo il respiro spontaneo potremmo notare come ognuno di noi ha un ritmo di respiro diverso e che dipende dallo stato fisico-biochimico e psicologico di ognuno. Quando volontariamente agiamo sul ritmo del respiro avremo una ripercussione a livello biochimico ma anche psicologico. Quindi lavorando sul respiro entreremo nell’area più sottile dell’essere umano dove risiedono dinamiche psicologiche ed energetiche che tengono in vita il nostro organismo.
A questo punto è bene considerare che visto la complessità e la delicatezza del processo occorre accostarsi ad esso con molta precauzione e sensibilità per evitare pericolosi scompensi a livello fisico e mentale.
Prima di avvicinarsi alle pratiche di prānāyāma impariamo innanzitutto a conoscere la respirazione. Dall’osservazione del respiro spontaneo con gradualità ci avviamo a conoscere la respirazione completa.
E per accedere ad una respirazione completa occorre conoscere le varie parti del corpo che svolgono la funzione del respirare, precisamente l’addome, il torace, e la parte clavicolare con la rispettiva muscolatura che li sostiene. In questo modo possiamo separare il respiro in varie fasi:

  • La fase addominale

  • La fase toracica

  • La fase clavicolare.

Se conosciamo attentamente, eseguendole separate, le varie fasi, sarà più facile ed agevole accostarsi alla respirazione completa che unifica tutte le fasi del respiro: inspirando si dilata l’addome, poi il torace fino al dilatarsi di tutta la gabbia toracica comprese le clavicole; espirando si comprime il torace, poi l’addome strizzandosi come una spugna.
I benefici della respirazione completa riguardano il nutrimento del corpo, l’ ossigenazione ma soprattutto la sua purificazione, cioè l’eliminazione delle tossine che non saranno solo fisiche ma anche mentali.
Se il respiro diventa consapevole e armonioso i suoi effetti si ripercuoteranno anche sulla nostra psiche, armonizzandola e purificandola.