Ujjayi Pranayama

Ujjāyī Prānāyāma. Dal prefisso “ud” che significa “verso l'alto” o “espansione” e “jaya” che vuol dire “conquista”, è una tecnica apparentemente semplice, ma molto efficace.

Accorgimenti preliminari:

Tutte le fasi del prānāyāma incominciano con l'espirazione e terminano con una inspirazione normale.
Tutte le inspirazioni si compiono con un suono sibilante “ssss”, e tutte le espirazioni con un suono aspirato “hhhh”, per una parziale chiusura della glottide. Il respiro deve essere il più possibile lento, profondo, ma soprattutto regolare, cioè senza sbalzi, se no significa che non siamo pronti.
Si inspira ed espira sempre dal naso, all'inizio, soprattutto, non arrivare mai alla capacità totale dei polmoni, ma essere sempre graduali e pazienti.
Inoltre alle prime avvisaglie di affaticamento o disagio è opportuno smettere, questi accorgimenti sono da tenere in considerazione per tutti i tipi di prānāyāma.

Il pranayama e la sua pratica

Per praticare il Prānayama si deve scegliere un luogo tranquillo e pulito, privo di correnti d'aria, assumendo una posizione meditativa stabile come siddhasana o padmasana, con la colonna vertebrale, il collo e la testa ben allineati. Tale corretta postura deve essere mantenuta per tutta la durata dell'esercizio. L'atteggiamento mentale risulta molto importante: occorre una intensa concentrazione, evitando qualsiasi vagare della mente, per cui è preferibile praticarlo ad occhi chiusi, in modo da eliminare qualsiasi stimolo esterno e potersi concentrare su di sé.
Poiché il praticarlo impropriamente o eccessivamente potrebbe comportare il rischio di disturbi o danni a carico dell'apparato respiratorio e al sistema nervoso, è consigliabile praticare sotto la guida di un istruttore qualificato. Nel Prānayama distinguiamo tre fasi:
pūraka (inspirazione),
recaka (espirazione),
kumbhaka (ritenzione).
Sia il pūraka che il recaka (ossia l'inspirazione e l'espirazione) devono essere profondi e completi, compiuti con lentezza, senza sforzo e in maniera uniforme. Il kumbhaka è l'arresto temporaneo del movimento respiratorio e il mantenimento dell'apparato respiratorio in uno stato di immobilità e di quiete. Esso può essere di tre tipi:

  • antara-kumbhaka, ossia la sospensione del respiro dopo il pūraka;
  • bahya-kumbhaka, ossia la sospensione del respiro dopo il recaka;
  • kevala-kumbhaka, ossia quando la sospensione del respiro avviene in modo spontaneo dopo una lunga pratica di Prānayama.

I testi tradizionali assegnano tempi proporzionali a ciascuna delle fasi ovvero 1 tempo per pūraka, 4 tempi per kumbhaka e 2 tempi per recaka. (1-4-2).
È bene cominciare con l'allungamento dell'espirazione e gradualmente inserire un kumbhaka uguale alla espirazione (recaka). (1-2-2). Con la pratica costante e graduale si possono evitare disagi e realizzare un Prānayama equilibrato.
Le varianti più importanti di Prānayama sono: ujjayi (che dà la vittoria), anuloma-viloma o nādi-śodhana (purificazione dei canali), bhastrikā (mantice), bhrāmari (ape), mūrchā (deliquio), plāvini (galleggiante), śitali (rinfrescante), sitkāri (emissione del suono sit), sūrya-bhedana (perforazione del sole).

Respirazione e Pranayama

Nella pratica dello yoga il respiro riveste un’importanza fondamentale. E questo non solo per quanto riguarda l’aspetto fisiologico, è facile capire che il respiro è vita, un corpo che non respira è un corpo morto. L’ossigenazione delle cellule del nostro corpo è fondamentale per la loro stessa esistenza. Ma è altrettanto vero che il respiro è la chiave per accedere al dominio del movimento pensativo. E’ possibile constatare nella nostra esperienza come un pensiero-emozione che sia di ansia, paura ecc. possa modificare il ritmo del nostro respiro. Basta portare attenzione ai nostri momenti di turbamento e verificare come questi accelerano e modificano il ritmo del nostro respiro, per non parlare poi di altre ripercussioni a livello fisico quali: il battito del cuore più veloce, tremori, sudore, ecc.

Per lo yoga è importante il controllo del respiro (prānāyāma) perché conoscendo a fondo le dinamiche sottili di esso possiamo arrivare al controllo della mente. Ma occorre precisare che per lo yogi il respiro è il mezzo per accedere al prānā. Occorre distinguere tra il respiro e il prānā, poiché il prānā è più del respiro, è l’energia che determina la vitalità di tutte le cellule del nostro organismo, quindi abbraccia il funzionamento di tutto il corpo: dall’attività cellulare alla produzione del pensiero, ecc.

Prendendo consapevolezza del rapporto che c’è tra respiro e mente possiamo agire sul ritmo del respiro per modificare lo stato della mente.

“Quando il respiro è agitato la mente è instabile. Ma quando si acquieta anche la mente trova la sua pace naturale.” (Hatha Yoga Pradipika)

Come possiamo notare il prānāyāma è un processo delicato e complesso poiché non riguarda solo la respirazione fisiologica, non si tratta quindi di essere abili nell’assorbire più aria o ritenere a polmoni pieni o vuoti per un tempo lungo; esso ha a che fare con l’aspetto più sottile e profondo del nostro essere. Se osservassimo il respiro spontaneo potremmo notare come ognuno di noi ha un ritmo di respiro diverso e che dipende dallo stato fisico-biochimico e psicologico di ognuno. Quando volontariamente agiamo sul ritmo del respiro avremo una ripercussione a livello biochimico ma anche psicologico. Quindi lavorando sul respiro entreremo nell’area più sottile dell’essere umano dove risiedono dinamiche psicologiche ed energetiche che tengono in vita il nostro organismo.
A questo punto è bene considerare che visto la complessità e la delicatezza del processo occorre accostarsi ad esso con molta precauzione e sensibilità per evitare pericolosi scompensi a livello fisico e mentale.
Prima di avvicinarsi alle pratiche di prānāyāma impariamo innanzitutto a conoscere la respirazione. Dall’osservazione del respiro spontaneo con gradualità ci avviamo a conoscere la respirazione completa.
E per accedere ad una respirazione completa occorre conoscere le varie parti del corpo che svolgono la funzione del respirare, precisamente l’addome, il torace, e la parte clavicolare con la rispettiva muscolatura che li sostiene. In questo modo possiamo separare il respiro in varie fasi:

  • La fase addominale

  • La fase toracica

  • La fase clavicolare.

Se conosciamo attentamente, eseguendole separate, le varie fasi, sarà più facile ed agevole accostarsi alla respirazione completa che unifica tutte le fasi del respiro: inspirando si dilata l’addome, poi il torace fino al dilatarsi di tutta la gabbia toracica comprese le clavicole; espirando si comprime il torace, poi l’addome strizzandosi come una spugna.
I benefici della respirazione completa riguardano il nutrimento del corpo, l’ ossigenazione ma soprattutto la sua purificazione, cioè l’eliminazione delle tossine che non saranno solo fisiche ma anche mentali.
Se il respiro diventa consapevole e armonioso i suoi effetti si ripercuoteranno anche sulla nostra psiche, armonizzandola e purificandola.

Costituzioni tipiche secondo l'ayurveda

Quando si parla di costituzione tipica del dosha prevalente occorre tener presente che anche gli altri due dosha fanno parte della costituzione. A volte anche due dosha possono essere prevalenti, in questo caso si parla di costituzione mista, ad esempio se supponiamo che sia Vata che Kapha siano predominanti, la persona sarà di costituzione Vata-Kapha. In questo modo si avranno pure Vata-Pitta e Pitta-Kapha. Si può avere una costituzione dove tutti e tre i dosha siano in eccesso, in quel caso sarà una costituzione detta tridosha e infine si può avere il caso di una costituzione dove i tre dosha siano perfettamente dosati e in egual proporzione, questa, però, è una costituzione alquanto rara. Le più comuni sono le costituzioni di un singolo dosha quindi o Vataja, o Pittaja, o Kaphaja o anche la costituzione mista, risultante dalla combinazione di due dosha.

Passiamo ora ad esaminare da vicino le costituzioni tipiche di ciascun dosha:

Vata: l'individuo di questa costituzione è attivo in tutte le sue azioni; il fuoco gastrico è irregolare; la temperatura corporea è bassa; la fame è irregolare; la sete è poca; i movimenti sono leggeri e vivaci; il sonno è scarso; l'iniziativa, l'eccitabilità, la paura, l'attaccamento, il distacco sono rapidi; la memoria è corta; l'intelligenza vivace.

I sapori preferiti sono il dolce, l'acido e il salato. Tendono ad essere autoritari, incostanti nell'amicizia,instabili. Hanno desiderio per tutto ciò che è caldo. Il corpo magro, secco, ruvido; battito delle palpebre rapido, sguardo incerto. Pelle secca, ruvida, disidratata e fredda. La respirazione è superficiale, il parlare è prolisso, vago e irresoluto.

 

Ayurveda e benessere: la scienza della vita

L'Ayurveda non è semplicemente un sistema di medicine per curare malattie e squilibri nel corpo, così come avviene nella medicina moderna allopatica.

Il termine Ayurveda è formato da due parole: Ayur+Veda. Ayur in Sanscrito significa Vita mentre la parola Veda significa Conoscenza.

Questa scienza trae le sue origini dai Veda, che sono i più antichi libri a noi tramandati dalla millenaria tradizione indiana.

I testi fondamentali della scienza ayurvedica giunti a noi in forma integrale sono: Charaka Samhita, Sushruta Samhita e Ashtangahrdaya Samhita.

L'Ayurveda vede l'Universo e insieme il nostro corpo fisico costituiti dai 5 elementi detti Mahabhuta: etere, aria, fuoco, acqua, terra.

Mediatore del processo di svelamento della Coscienza è l'OM, il suono cosmico, primordiale. Dalla vibrazione dell'OM si produce lo spazio-etere. L'etere in azione produce l'aria, l'energia dietro a questo processo produce il fuoco. A questo punto per l'azione del fuoco certi elementi eterei si trasformano in acqua. La solidificazione dell'acqua porta alla formazione della terra.

Nell'organismo umano osserviamo molti spazi che sono le manifestazioni dell'etere (spazio della bocca, del naso, del torace ecc.), i movimenti dei muscoli, dei polmoni, l'eccitazione nervosa ecc. sono invece le manifestazioni dell'aria. L'azione dell'apparato digerente è invece la manifestazione del fuoco, così come tutte le funzioni metaboliche, mentre la struttura ossea, i capelli, le unghia, i tendini e le cartilagini sono manifestazione dell'elemento terra.

I cinque elementi sono osservabili anche nel funzionamento dei cinque sensi. Così l'etere è correlato al suono e quindi all'udito, l'aria è correlata alla pelle e quindi al tatto, il fuoco correlato alla percezione dei colori e quindi alla vista, l'acqua correlata al sapore e quindi al gusto, infine la terra correlata alla sensazione dell'odore e quindi all'olfatto.

Dai cinque elementi originano i tre Dosha ( Vata, Pitta, Kapha) corporei. La combinazione di etere e aria dà origine a Vata, la combinazione di acqua e fuoco dà origine a Pitta e la combinazione di acqua e terra dà origine a Kapha.